Il taglio cesareo

L’origine del taglio cesareo è antichissima. Probabilmente non deriva dal nome di Giulio Cesare, che si racconta sia nato proprio in questo modo, ma deriva da una legge romana, la Lex cesarea, che stabiliva l’obbligo di intervento chirurgico, nel caso la madre fosse morta o moribonda, per estrarre il bambino e farlo sopravvivere.

Ma non tutti sono d’accordo: c’è chi ritiene, invece, che questa parola sia più tardiva e derivi semplicemente dalla radice latina caedere, un verbo che significa proprio tagliare. In passato il cesareo veniva praticato solo in casi estremi. In effetti il taglio cesareo potrebbe essere definito come una “uscita di sicurezza” in caso di emergenza. Oggi è una operazione che presenta pochissimi rischi.

Come funziona il parto cesareo

Contrariamente a quanto spesso si crede, non è necessario addormentare la madre con una anestesia totale. Basta una anestesia spinale. Viene fatto un taglio orizzontale o verticale, a seconda dei casi, a livello del ventre (oggi si tende a farlo orizzontale per ragioni estetiche). Appare subito la parete dell’utero, tesa come un tamburo che avvolge completamente il feto.
Tagliarla non comporta rischi: è un fascio di muscoli che si rimargineranno velocemente. Una volta aperto l’utero, il bambino viene estratto a mano senza problemi. E così la placenta.

Ormai, un po’ come i parti indotti, il cesareo ha preso molto piede nelle cliniche e negli ospedali. Tuttavia, malgrado l’assenza quasi totale di rischi (sono gli stessi di una normale operazione), non è una passeggiata, e i tempi di ripresa sono un po’ lunghi: negli ospedali pubblici la degenza dopo questo tipo di intervento si aggira sui 5 giorni, contro i 3 di un parto normale.
Già dopo un giorno, tuttavia, la donna può alzarsi senza pericolo. Il cesareo non comporta conseguenze per la donna che, in futuro, potrà avere tranquillamente altri parti, sia per via normale, sia attraverso altri cesarei.

Recentemente sono nate polemiche sull’uso ritenuto troppo estensivo che si fa di questa tecnica (in Italia, come negli Stati Uniti, si è arrivati al 20/25% di parti cesarei, con notevole aumento dei costi assistenziali). Si ritiene che gli ostetrici siano propensi ad adottare il cesareo non solo per aumentare la parcella, ma forse ancor più per tutelarsi in presenza di una parto a rischio: col cesareo infatti sono praticamente sicuri di avere una nascita senza problemi, e quindi senza implicazioni medico-legali (oggi la contestazione in campo ostetrico è altissima).
Occorre però anche considerare il fatto che le nascite col forcipe si sono parallelamente ridotte dal 15% all’1%; la nascita è pur sempre un evento che può presentare rischi, e il cesareo, dicono gli ostetrici, è, per certi feti, il modo meno pericoloso per nascere. Fino agli inizi degli anni Cinquanta il cesareo rappresentava l’ultima spiaggia, l’estremo rimedio, perché non c’erano gli antibiotici.

Certo, non bisogna esagerare nel praticarlo: occorre tuttavia tener presente tutti i vari aspetti della questione.
Quando mia moglie partorì il nostro primo folletto, chiese al medico se poteva fare una cesareo con la speranza che i dolori del travaglio finissero il prima possibile. Il medico la guardò e le disse: “Signora, in questo ospedale pratichiamo migliaia di cesarei all’anno. Siamo bravissimi. Consideri però che partorire naturalmente è un dono e che, dal momento che lei non ha nessuna controindicazione, ci dovrebbe pensare meglio. Il cesareo è sempre un intervento chirurgico che le lascerà segno. Ci pensi e mi faccia sapere quando ritornerò”.

Mia moglie partorì senza ricorrere al cesareo 😉