Panzallaria è un’amica blogger che conosciamo da tempo.
E’ in cerca sia di un editore che di un Teatro (ha già esperienze in questo senso, vedi “La rivincita del calzino spaiato”) per proporre il suo nuovo lavoro.
Pubblichiamo di seguito un pezzetto del suo romanzo. Che ci piace perchè ci riconosciamo praticamente in ogni riga.
Deus ex machina
Strano mondo quello della Prole.
Un giorno sei una ragazza di 30 anni con un lavoro, una casa e pochi e confusi orari. Non fai esami del sangue accurati da 6 mesi ma – come tutte le persone della tua età – ti senti bene, pensi che non ce ne sia bisogno. Vivi nella stessa palazzina dove abitano i parenti del tuo non marito: la cosa non ti fa fare i salti di gioia ma hai imparato a tenerli a bada, a frequentarli quel tanto che basta per non sentirli ringhiare quando li incontri in cortile. Tua madre sta con il suo compagno in città. Coltiva fiori e dipinge quadri. Dopo i conflitti della tua adolescenza e quelli della sua menopausa avete raggiunto un buon equilibrio, fondato sul rispetto del reciproco e la tutela del proprio. Non vi pestate i piedi e ora che vivete a qualche chilometro di distanza è bello incontrarsi, parlare del lavoro e dei fiori e dei quadri.
Tutto imperfettamente perfetto. Fin quando ognuna di queste persone e tu stessa e il tuo non marito non scoprite che tra nove mesi la vita cambierà. Per sempre. Radicalmente. Una bocca in più da sfamare. Una nuova vita che vivrà questa vita.
D’un tratto cambiano i rapporti di forza e persone che prima ti lasciavano quietamente stare cominciano a preoccuparsi di te, a dispensare consigli e tentano di imporre le loro scelte in nome del benessere del microbo che ti sta crescendo dentro.
Il non marito ti telefona 12 volte al giorno: vuole sapere cosa hai mangiato, se sei stanca per troppo lavoro, se hai camminato e come ti senti. La mamma tira fuori dalla soffitta dei ricordi tutto quello che ha imparato nella sua esperienza di madre, 34 anni prima. C’è il dottor Spock –che non c’entra niente con Star trek – e le sue teorie pedagogiche che ti spaccia come assolutamente innovative, senza ricordarsi che è passato quasi mezzo secolo.
Poi c’è la suocera, tua suocera: La Santona.
La Santona fin da subito si è fatta prendere da un enorme entusiasmo organizzativo. Due nipoti. Due cuccioletti in arrivo. Ha chiamato Eugenio, il vicino giardiniere che da sempre le dà una mano e ha fatto sistemare il cortile in modo che fosse eliminato qualunque arbusto anche lontanamente pericoloso per l’incolumità dei marmocchi. Ha fatto sistemare il tavolo in legno del giardino e sono spariti tutti i chiodi arrugginiti che erano ancora lì da quando il suo defunto e povero marito li aveva piantati. Ha fatto ridipingere la facciata della casa (che non si sa mai che, tornando dall’ospedale dove li metteremo al mondo, i due nipoti dovessero notare con delusione che la loro dimora non è adeguata ad un sangue principesco!) e ha chiesto a mia mamma se ridipinge la madonnina che da anni veglia sotto il fico.
Poi ha cominciato ad occuparsi di noi. Un giorno – poco dopo la rivelazione – ci ha invitate in città, per fare i primi acquisti.
“Voglio farvi un regalo!” ci ha detto. Io ero assolutamente imbarazzata e da brava scaramantica quale sono, trovavo poco opportuno andare così presto a fare acquisti per la Prole. La Depressa che stava attraversando la prima fase di rifiuto del proprio corpo – di ritorno ciclico nei mesi a venire – aveva un muso lungo fino alle ginocchia ma a causa della sua nevrotica apatia aveva subito accettato, costringendo anche me a fare altrettanto.
Ricordo quel pomeriggio come un inferno: se da Lucifero si sta come me quel sabato, allora devo proprio cominciare a dar retta a Gino perché vorrei evitare di conoscerne i dettagli più oscuri.
Caldo. Molto caldo dentro alla macchina della Santona. La Depressa parla a macchinetta di qualsiasi cosa, soprattutto della rigidissima dieta che sta seguendo per non sformarsi totalmente. Io ho sonno. I primi mesi della mia gravidanza sono stati avvolti in una nube di sonno. Ho sonno quando mi sveglio, ho sonno quando vado a dormire e attraverso la notte pesante come un sasso.
“Lo hai già detto all’Assessore?” mi chiede interrogativa mia suocera.
“No, anzi, vi pregherei di mantenere il segreto, per il momento, con chiunque non sia strettamente legato alla nostra famiglia…sapete, con il fatto che il mio lavoro è precario vorrei scegliere l’occasione giusta per avvisare in ufficio.”
“Perché, temi che ti licenzino visto che sei incinta? Sai che esistono leggi che tutelano le donne in attesa?” mi domanda la Depressa che non avendo una spiccata proprietà (o volontà) di ascolto non ha ancora capito che il mio contratto ha i mesi contati e che nessuno mi ha ancora dato alcuna certezza per il futuro.
“Agnese, tesoro” segue la Santona che ha il tono della mamma e io odio quando ha il tono della mamma perché mi aspetta di certo un’enciclica papale “Ma perché, santa ragazza, non ci avete pensato un po’ di più prima di mettere al mondo una creatura senza che tu abbia qualche certezza professionale?”
Zac.
Prima staffilata di mia suocera.
“E’ accaduto. Non è che lo avessimo preventivato. Comunque non preoccupatevi: ci sono buone possibilità che me lo rinnovino il contratto. Voglio solo trovare il modo giusto di parlarne all’Assessore:” rispondo io, fintamente noncurante, mentre sto per vomitare a causa delle curve.
La Santona guida da schifo: prende la macchina 2 volte all’anno e di solito ci arriva solamente fino al caseificio del Guazza.
Arriviamo a Bologna che io sono pallida come un cencio e la Depressa, a causa della guida sportiva di nostra suocera è diventata silenziossima, chiusa nel dolore del suo corpo sformato.
Ci infiliamo dentro ad un grande emporio di oggetti e vestiti per bambini. Ci raggiunge immediatamente una giovane commessa. Capisco subito che ha adocchiato la preda e sta valutando come spennarci in modo da farci uscire da lì convinte di avere fatto qualche grande affare.
Ha unghie lunghissime e inanellate e un faccino da fanciulla innocua e rassicurante; non so ancora cosa mi aspetta e quale baratro mi si è aperto davanti.
Ci chiede gentilmente cosa desideriamo.
“Le ragazze sono alla prima gravidanza” risponde tempestiva e per noi la Santona. “Sa, non sono molto esperte, volevo fare loro un regalo!” continua, facendo capire alla commessa che è lei l’esperta e noi siamo creta nella sue mani. Senza sapere che il deus ex machina delle due ore a venire sarà invece proprio lei: la rassicurante e docile fanciulla.
Partiamo dalle culle. Culle in legno ecologico. Culle in ferro che fa rustico. Culle con sponde alte e culle con sponde basse. Passiamo agli sterilizzatori. Sterilizzatori per biberon a 4 funzioni. Sterilizzatori semplici.
Indugiamo sulle tutine per la nascita. Tutine taglia 00 per bimbi molto piccoli. Tutine taglia 0 con lo scollo all’americana e body di lana fuori e cotone dentro e lana dentro e cotone fuori.
Sdraio.
“Io con i vostri mariti ho usato tanto gli sdraio! Me li portavo dietro ovunque sulle sdraio.”
Esistono anche le sdraio.
Seggiolini per auto. Un mondo a me sconosciuto. Seggiolini per bimbi molto piccoli, seggiolini per bimbi più grandi. Prima lo metti davanti, poi invece deve stare dietro.
Passeggini.
Ci sono i passeggini modello classico. “Ma se voi abitate in collina o in campagna è meglio che prendete questi” ci fa il Deus ex machina indicando degli enormi aggeggi a tre ruote, trazione anteriore e posteriore, che mi fanno pensare a quei Suv che usano spesso le mamme per andare a prendere i figli a scuola e che intasano strade e affumicano pedoni.
Sono completamente spaesata. La Depressa sta invece rifiorendo. Lo shopping ha sempre avuto effetti rigeneranti su mia cognata e ora scopre una nuova specializzazione, un modo per acquistare sentendosi anche di cercare il meglio per la propria creatura.
La commessa è il diavolo: avrà ripetuto almeno 100 volte che se vogliamo che “tutto sia perfetto” non possiamo fare senza questo e nemmeno quello.
La Santona fa cenni di assenso con la testa.
Lei e la perfezione sono amiche per la pelle.
La Depressa comincia a spiegare che si, lei pensa proprio che vuole che il bimbo arrivi in una casa accogliente e che non gli manchi nulla.
Io sono completamente inebetita. Per la prima – e non unica – volta si fa strada un sentimento nuovo che non avevo ancora valutato, si insinua un dubbio.
Voglio veramente che sia tutto perfetto??
Sono in grado di valutare ogni opzione possibile e eliminare ogni rischio dai primi mesi di vita della Prole??
Torniamo a casa che ho una gran confusione in testa. La Santona ha regalato ad entrambe una sdraio per i bimbi, la crema per il seno che stimoli l’attività mammaria e ci ha procurato – tramite quella diavola di una commessa – una tale quantità di depliant da fare invidia ad un rappresentante.
Questa gita ha cambiato ognuna di noi. La Depressa, pur rimanendo arrabbiatissima con il proprio, indomabile corpo, sembra aver riacquistato voglia di vivere e non fa altro che sfogliare i chili di carta patinata di cui dispone, dicendo che vuole ogni cosa.
La Santona sente che la situazione sta prendendo proprio la piega giusta e intravede grandi possibilità di gestione diretta della nostra maternità.
Io sono afflosciata come il basilico che ho sul davanzale. Tremo di paura. Penso al nostro armadio, con i vestiti buttati e i calzini spaiati e contemporaneamente mi chiedo se voglio veramente convivere con uno sterilizzatore e far crescere la Prole sotto una bolla di sapone.
Non siamo ancora rientrate a casa che la Santona mi sferra un altro terribile colpo: “Agnese, ma non è che non vuoi dire in giro che sei incinta perché in realtà non ti senti affatto pronta?” mi domanda malignamente a bruciapelo.
Entro nel nostro appartamento che mi sembra di essere scampata ad un attentato: Matteo mi guarda perplesso e preoccupato:
“Gnè, che hai? Sei pallida come un morto!”
“Ho paura Matteo, ho paura. Siamo sicuri che ce la faremo, siamo sicuri che io sono adatta a fare la madre?” gli domando, mollando a terra la sdraio, la cremina e cacciando indietro qualche lacrima di ansia.
In quel momento arriva Gino che per un miracolo se n’era stato buono tutto il pomeriggio:
Non ce la farai mai Agnese. Ammettilo. Sei disordinata. Non sai nemmeno cucinare un uovo. Vuoi ricattare il tuo capo per tenerti un lavoro. Se continui a rimpinzarti di bomboloni al cioccolato usando la scusa della gravidanza diventerai una balena incinta e Matteo non vorrà trombarti nemmeno al buio. Non hai idea di cosa sia uno scollo all’americana e nel negozio ti sei incartata per chiudere un passeggino. Non montarti la testa tesoro, tanto finirai all’inferno.
Anzi:
considera la possibilità che
l’inferno
stia arrivando da te.