L’ansia viene comunemente definita: uno stato di disagio dell’animo provocato dall’incertezza, sia di eventi positivi che negativi; vale a dire lo stato d’animo che deriva dalla incertezza circa la realizzazione di un bene sperato, oppure dalla incertezza circa il verificarsi di un male temuto; in questo caso è l’espressione dello stato d’animo di fronte ad una minaccia.
Si tratta quindi di un disagio esaltato dalla insicurezza. E maggiore è l’aspettativa del bene sperato, maggiore l’ansia che deriva dal timore che non si realizzi e che l’aspettativa venga delusa; maggiore il timore dell’evento negativo, più grande l’ansia che deriva dalla possibilità che si avveri. Quindi, se da un lato si tratta di una reazione emotiva perfettamente normale (chiunque spera che si avverino i propri desideri e teme ciò che ci può danneggiare), diventa motivo di sofferenza quando supera limiti ragionevoli. E siccome di reazione emotiva si tratta, difficilmente si riesce a contenerla con la ragione. Ma come per le paure, il recupero del “senso della realtà” e la consapevolezza dei meccanismi che mettono in moto lo stato d’ansia, consente di attenuarne le conseguenze.
In gravidanza i motivi d’ansia non mancano, sia in senso positivo che negativo, ed è quindi un momento in cui, un soggetto già emotivamente instabile, vede accentuarsi i disagi, fino alla vera sofferenza.
Le aspettative “positive” che ingenerano ansie sono quelle relative alla normale evoluzione della gravidanza e del parto; inoltre la gestante “non vede l’ora” di prendere in braccio il proprio figlio, di vedere come è fatto , che aspetto ha, a chi somiglia, come si comporta. E’ ansiosa di poterlo toccare, di potersi occupare di lui, senza rendersi conto che finché è nella sua pancia veramente si sta occupando di lui in maniera totale, sopperendo a tutte le sue necessità, più di quanto potrà mai fare in seguito.
I timori di eventi “negativi” che inducono ansie sono tutti quelli relativi ad eventi sfavorevoli, a sensazioni dolorose, alle limitazioni dovute alla pancia, ed a tutti i rischi di problemi fetali. Quando la minaccia si fa incombente le ansie diventano paure, e il disagio diventa un tormento.
E’ questo il momento in cui si fa più importante la necessità di avere accanto un compagno comprensivo ed un ginecologo che risulti rassicurante senza essere imprudente, per aiutare la gestante a recuperare il “senso della realtà”.
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A volte alcuni stati di ansia si possono definire “paure”.
Passeremo in rassegna le paure più frequenti che compaiono in gravidanza. Trattandosi di un meccanismo di tipo emotivo è difficilmente controllabile con la ragione, ma prenderne coscienza è in ogni caso utile per la gestante che impara così a conoscere meglio le proprie reazioni ed a recuperare quell’ancora di salvezza che abbiamo sopra definito “il senso della realtà”.
- Paura di essere incinta: è molto comune che anche la donna motivata e che ha desiderato la gravidanza, di fronte ad un ritardo mestruale sia spaventata da ciò che la attende; se è la prima esperienza, in quanto è un avventurarsi nell’ignoto; se si ratta di gravidanze successive in quanto riaffiorano ricordi negativi della precedente gestazione. Per fortuna la gravidanza dura nove mesi e c’è tutto il tempo di abituarsi all’idea che si sta generando un figlio.
- Paura di non essere incinta: quando la gestazione è molto desiderata la delusione è grande quando arriva la mestruazione; ma bisogna essere consapevoli che le probabilità di gravidanza, anche nella donna più sana, sono assai modeste, e si riducono a pochi giorni o poche ore al mese.
- Paura che la gravidanza si sia interrotta: si verifica frequentemente fino alla 18a-22a settimana di gravidanza, quando l’impossibilità di avvertire i movimenti fetali non consente alla donna di verificare in maniera autonoma la vitalità embrionale. In questi casi una verifica ecografica tranquillizza la donna, anche se il vedere l’embrione “al di fuori di sé”, sul monitor dell’ecografo, non contribuisce al “sentirsi gravida”.
- Paura di malformazioni fetali: è perfettamente comprensibile e l’unico modo per attenuarla è quello di seguire tutti i controlli prescritti dal proprio ginecologo, anche se è necessario comprendere che nessuna metodica è sicura al cento per cento e la medicina non è una scienza esatta.
- Paura di danneggiare il feto con i rapporti: riguarda prevalentemente il partner maschile, ma spesso anche la donna, che per questo motivo si priva del piacere di una normale vita sessuale in gravidanza; nella maggior parte dei casi è una paura immotivata in quanto il feto è ben protetto all’interno dell’utero e non c’è possibilità di un contatto diretto; sarà il proprio ginecologo, in caso di minacce d’aborto o di parto prematuro, a sconsigliare i rapporti, mentre in tutti gli altri casi è giusto avere una normale vita sessuale.
- Paura del dolore: è forse uno dei timori più frequenti e più difficili da tenere sotto controllo; in realtà molte donne si meravigliano, dopo il parto, di quanto siano state “brave” a tollerare le contrazioni uterine; giocano un ruolo fondamentale le storie terrificanti raccontate da altre donne e un certo retroterra culturale: “partorirai con dolore” è un retaggio difficile da sradicare, sopratutto quando si crede che il dolore sia il cemento che consolida il rapporto fra madre e figlio. Anche se attualmente il diffondersi delle metodiche di analgesia nel parto ha ridotto questo diffuso timore di grande sofferenza, può rimanere nelle donne il che hanno partorito in peridurale il senso di colpa di aver evitato un dolore “necessario”. Sicuramente non è così, e i problemi legati alla peridurale sono altri. Il dolore è una sensazione amplificata o attenuata da molte componenti psicologiche e comunque, laddove si decida di partorire in analgesia, la sua riduzione non modifica la possibilità di instaurare un buon rapporto con il figlio.
- Paura di non farcela a partorire: per quanto riguarda questo diffuso timore, c’è una grossa relazione con il proprio livello di autostima; bisogna credere nelle proprie possibilità che spesso sono assai superiori alle aspettative.
- Paura del distacco dal bambino: anche se apparentemente meno frequente, è questo un timore sempre presente, in maniera profonda, nella donna che sta per partorire. La simbiosi che dura nove mesi, fra madre e bambino, viene bruscamente interrotta con il parto, e lo “strappo” che ne deriva lascia spesso tracce significative, sia nella gestante che nel neonato. Si riesce ad attenuare con l’instaurarsi un “rapporto primario” adeguato, che in molti momenti, come quello dell’allattamento, ricuce la separazione e ricostituisce transitoriamente la simbiosi fra i due.